El Tío de la mina

Il Tío della miniera

di Víctor Montoya

(Traduzione di Paola Ursomando)

Caro Tío:

In questa foto, fatta all’interno della miniera, si vede la tua statuetta di creta in mezzo alle offerte che ti hanno lasciato i minatori, i quali, seduti sui callapos della galleria masticavano coca in tua presenza, supplicandoti di concedergli il più ricco filone di stagno e di proteggerli dalle malattie e dai pericoli. Le bottiglie di acquavite sono per placare la tua sete e renderti omaggio, ma anche per ch’allar in onore alla Pachamama, la divinità Andina che non si vede ma che custodisce le ricchezze nelle sue viscere.

Se ti osservo da vicino, scrutando i dettagli della tua immagine, vedo che hai il naso e la bocca anneriti dal fumo dei k’uyunas, gli occhi rotondi come biglie di vetro, le braccia leggermente piegate e il corpo coperto di coriandoli e stelle filanti. In realtà, se vogliamo essere precisi, dobbiamo dire che hai il viso più sfigurato di quello del Fantasma dell’Opera e il corpo più contraffatto di un mostro con la coda e le corna. Forse per questo vivi esiliato nella zona più oscura e profonda della miniera, dove le gallerie non sono il regno delle Fate né l’inferno di Dante, ma un recinto tenebroso conosciuto solo dai lavoratori del sottosuolo, dove i devoti ti temono più che a Dio e i superstiziosi ti venerano più che alla Madonna del Socavón.

D’altro canto, secondo la versione cattolica, sei l’angelo celeste che, ribellatosi alla volontà suprema del suo Creatore, fu condannato a patire le pene eterne tra le fiamme dell’inferno. Ma tu, generatore di benefici e malefici, non arrivasti neppure alle porte del Purgatorio; preferisti amalgamarti al Huari e al Supay della mitologia andina, farti chiamare Thiula e metterti nelle grotte della miniera, tra le cui tenebre istallasti il tuo trono ed il tuo regno. Da allora sei il padrone dei minerali e il Signore dei minatori, i quali, in atteggiamento di sottomessa venerazione, ti rendono omaggio quando entrano e quando escono dalla miniera, offrendoti foglie di coca, k’uyunas, e bottiglie di acquavite, senza altra intenzione che manifestarti la loro fede e il loro affetto, e patteggiare con te in una sorta di rituale miracoloso. Nonostante il tuo essere ambivalente, una fusione del Bene e del Male, eserciti un’influenza decisiva nella vita degli abitanti dell’altopiano, dove osasti misurare le tue forze sataniche con quelle divine di Dio.

Alla vigilia del Carnevale, i minatori ch’allan la tua grotta, ti adornano il collo con stelle filanti e lanciano manciate di dolcetti e coriandoli intorno al tuo trono, dove te ne stai seduto, notando come guardano il tuo pene lungo, grosso ed eretto. Poi ti travesti da Lucifero ed esci dalla miniera, per ballare allegramente nella fratellanza dei diavoli, bevendo quello che ti offre la gente e innamorandoti delle fanciulle più belle che, in onore alla tua perversa sposa (la Chinasupay) si travestono da diavolesse; stivaletti dai tacchi alti, gonne corte, camicette vaporose e giacche drappeggiate con sauri, aracnidi e batraci. Le diavolesse hanno maschere dagli occhi sporgenti e le ciglia lunghe, zigomi scarlatti e labbra sensuali, così sensuali che, oltre ad abbozzare un sorriso tentatore, lasciano intravedere una fila di denti incastonati con pietre preziose.

Tu balli al ritmo della musica dei tamburi e dei flauti, trascinando l’aria con il tuo mantello di velluto e il tuo scettro di potere, mentre le diavolesse, molestate dai jukumaris e mallkus, civettano intorno all’arcangelo San Michele, mostrandogli le curve delle gambe e coprendosi il seno con le chiome raccolte in trecce.

Il tuo costume da Lucifero, che sembra fatto di luci e di sogni, è uno degli indumenti più invidiabili del Carnevale di Oruro, dove tutti ti guardano e ti ammirano dal profondo del loro spavento. Il tuo mantello di velluto, lussuosamente bordato con fili d’oro e d’argento, è adornato con vipere, lucertole e dragoni; invece sul gonnellino e sul petto, tempestati di bottoni, paillette e lustrini, ci sono figure ornate con splendenti pietre preziose; i tuoi stivali ed i tuoi guanti sfoggiano rilievi di rospi, ragni e scorpioni; mentre i foulard che porti al collo, confondendosi con la tua lunga chioma, sono adorni che fluttuano nell’aria come mazzolini di fiori; la tua maschera, deformata al limite dell’orrore, ha il naso frantumato, le orecchie a punta e i denti feroci; i tuoi occhi grandi e rotanti come quelli di un camaleonte, emanano colori vivi di giorno e fluorescenti di notte. E per infondere paura e rispetto nei tuoi sudditi, porti un serpente a tre teste tra le corna ricurve della tua fronte.

Dopo Carnevale, nella cui meravigliosa cornice ti dedichi completamente alle danze, all’amore e all’alcol, entri nuovamente nelle tenebre della miniera, dove non sei più Lucifero, ma il Tío protettore dei minatori. Loro ti considerano il sincretismo culturale tra la religione cattolica e il paganesimo ancestrale, non solo perché formi parte di una leggenda che gira intorno alla miniera ed a ciò che in essa accade, ma anche perché sei un essere mitico capace di schiavizzare e liberare gli uomini con i tuoi poteri magici.

Per il resto, adesso che osservo di nuovo la tua immagine, ho l’orribile sensazione che mi perseguiti come se fossi la mia ombra; a volte sei più vicino a me di Mefistofele a Faust e sento che vuoi farmi cadere in tentazione, inducendomi a commettere orribili peccati dai quali non mi salverebbe neppure la morte. Così, nel misterioso labirinto dei sogni, assumo la tua immagine per parlare con voce di diavolo, come se davvero esistessi nella realtà e non solo nella fantasia di coloro che, assillati dalla paura e dalla superstizione, ti immaginano più pericoloso del dragone e più feroce del Minotauro, metà bestia e metà uomo.



Glossario

Callapos: Tronchi d’albero. Scalini della miniera.

Ch’allar: Celebrare un evento spruzzando sul pavimento alcool, birra o chicha (una bevanda alcolica sudamericana ottenuta dalla fermentazione del mais in acqua zuccherata)

Chinasupay: Diavolessa. Divinità e sposa del Tío.

Huari: Divinità mitologica degli urus, protettore dei Camelidi e personaggio simbolizzato dal Tío delle miniere.

Jukumaris: Orsi. Simbolizzano la forza del popolo Andino, ma anche la penetrazione europea nel territorio degli urus.

K’uyunas: Sigarett.

Mallku: Condor.

Pachamama: Madre Terra. Divinità delle Ande.

Supay: Diavolo, Satana. Personaggio che rappresenta la simbiosi tra la regione Andina e la religione Cattolica.

Thiula: Tío.

montoya [at] tyreso.mail.telia.com

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🖼 Ilustración: Fotografía del tio de la mina (Wari, Tiw) en Oruro (Bolivia) By Erios30 (Own work) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/ fdl.html) or CC-BY-SA-3.0-2.5-2.0-1.0 (http://creativecommons.org/ licenses/by-sa/3.0)], vía Wikimedia Commons.
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▫ Artículo publicado en Revista Almiar (2004). Reeditado por PmmC en septiembre de 2019. Para visualizar los vídeos rogamos aceptar la política de cookies.

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